1. La Madonna del Gonfalone
    Tanto tempo fa tra, Lucugnano e Montesano, viveva una giovane donna che poverina era divenuta muta dieci anni prima.

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    Tanto tempo fa tra, Lucugnano e Montesano, viveva una giovane donna che poverina era divenuta muta dieci anni prima.
    Un giorno, tornando insieme con la madre da un podere, passò per una stradicciola che s'internava nei campi salendo su di un leggero rialto fino a uno spiazzo di fronte a una piccola grotta. Passando davanti alla quasi ignorata grotta, il volto della giovane s’illuminò di gioia nello scorgere tra gli sterpi, nel fondo della cavità, un rilievo luminoso.
    La fanciulla allora chiamò a gran voce la madre.
    - Guarda, mamma! -
    La madre sentendola parlare si meravigliò e si mise accanto alla figlia scrutando la cavità, ma non vide la luce. Allora la donna rivolse alcune domande alla figlia, per assicurarsi che non fosse solo un'illusione causata dal gran caldo, però vide che ella parlava senza alcuna difficoltà come se lo avesse sempre fatto, perciò la signora s'inginocchiò verso la grotta pregando.
    Tornate in paese le due raccontarono l'accaduto e tra il popolo si iniziò a gridare al miracolo. La gente del posto corse in massa nel luogo indicato dalle donne per ispezionare la grotta, calandosi giù, videro in fondo a essa una Madonna in rilievo che fu subito benedetta dal parroco. Da allora la zona venne ripristinata al culto, e sulla grotta fu innalzata per devozione una chiesetta.
    Gli anni passarono e quando la fanciulla giunse sul letto di morte, chiese con le sue ultime forze alla Santa Vergine la grazia di poter restare in eterno in quell'angolo benedetto dal cielo, per continuare a contemplare l'immagine della Madonna. Il cielo, volto a compassione della sua fede, la trasformò in lucertola affinché potesse continuare a vivere in quei luoghi dove aveva visto la luce del rilievo sacro, che fu poi chiamato dal nome della località: Madonna del Gonfalone.

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    Edited by Xander Ares - 8/6/2021, 19:35
    Last Post by Xander Ares il 26 May 2021
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  2. La Vallonea dei cento cavalieri
    Un tempo l'imperatore Federico II di Svevia si recò in terra d'Otranto, ma la sua nave fu colta da improvviso maltempo fu costretto ad approdare al porto di Tricase.

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    Un tempo l'imperatore Federico II di Svevia si recò in terra d'Otranto con cento suoi cavalieri per risolvere alcune dispute, ma la sua nave fu colta da improvviso maltempo fu costretto ad approdare al porto di Tricase.
    Una volta a terra, il regnante con tutta la sua armata corse di gran fretta lungo la strada che collegava il paese al suo porto, nella speranza di trovare subito un alloggio prima che si mettesse a piovere. Come spesso succede neanche arrivati a metà strada scoppiò un temporale che trasformò il terreno in fango. Il gruppetto di cavalieri non riuscendo camminare nel fango con le pesanti armature fu costretto a cercare un riparo di fortuna. Fu allora che videro una maestosa e gigantesca quercia vallonea, il cui seme fu portato sulle coste salentine dai monaci basiliani che fuggivano dalle persecuzioni in Asia. Costretti a imbarcarsi in fretta i monaci per sfamarsi riempirono le bisacce solo di ghiande e quando sbarcarono a Tricase piantarono le ghiande rimaste da cui nacque quella stessa quercia e l'imperatore vedendola decise di cercare rifugio sotto la sua folta chioma. Federico capì che sotto l'albero si stava bene e disse ai suoi cavalieri: - Venite, venite anche voi qui si sta all'asciutto. -
    Purtroppo erano tantissimi cavalieri e nessuno credeva ci sarebbero stati tutti, piano piano dieci dei prodi lo raggiunsero, quando videro che c'era ancora spazio uno di loro si rivolse altri: - Venite, venite pure qui stiamo larghi. -
    Sentendo così allora altri dieci si unirono a loro e poi venti, trenta cavalieri, finché non scoprirono di essere tutti e cento comodamente all'asciutto protetti dall'ombra della quercia.
    Da quel giorno quel gigante verde fu conosciuto come la Vallonea dei cento cavalieri, in ricordò di quel temporale.

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    Edited by Xander Ares - 8/6/2021, 19:29
    Last Post by Xander Ares il 24 May 2021
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  3. La frittata del sarto
    Una volta c'era un sarto, tanto buono, caritatevole e timorato di Dio che tutti lo chiamavano Omobono.

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    Una volta c'era un sarto, tanto buono, caritatevole e timorato di Dio che tutti lo chiamavano Omobono. Egli viveva in un piccolo paesino e difficilmente gli capitava di confezionare un vestito, perché all'epoca la maggior parte delle persone aveva solo due vestiti, perché allora quello che si guadagnava bastava appena per vivere e bisognava anche risparmiare, per tempi peggiori.
    Uno dei vestiti era il più vecchio e malridotto e serviva per tutti i giorni e l'altro era il vestito buono per le andare a messa, per le cerimonie e per indossarlo da morti quando dovevano presentarsi davanti a San Pietro, per essere giudicati, credendo che vestiti bene sarebbe stati accettati dal Signore con più riguardo abbuonando qualche peccatuccio.
    Il lavoro di Omobono perciò era per lo più rammendare, mettere fondelli ai pantaloni sdruciti, adattare vestiti dai grandi ai piccini. La moglie lo aiutava a imbastire, rammendare, a fare le asole, ad applicare i bottoni, a stirare quando non era impegnata ad allevare i loro figli.
    Un giorno il signorotto del paese invitò Omobono a palazzo e gli ordinò un vestito di gala raccomandandosi di essere celere e preciso perché gli serviva per un gran ballo importante.
    Per il povero sarto era una grande occasione per guadagnare qualcosina di più, ma soprattutto di realizzare qualcosa di bello e si mise d’impegno a lavorare.
    Purtroppo più di impegno si metteva e più pensava che l'incarico era importante e non poteva sbagliare e come accade in questi casi sbagliò.
    Forse a causa della stanchezza o dal lume del petrolio che gli aveva bruciato gli occhi, ma quando provò sul manichino il vestito si accorse che era un disastro, il disegno del rigato non corrispondeva fra le due metà, le misure erano sbagliate tanto da far perdere all'abito la simmetria e i pantaloni erano troppo stretti.
    Omobono sconvolto pianse riverso sul tavolo di lavoro: - Che rovina, che rovina e il ballo è domani! Non farò mai in tempo a sistemarlo!!! - Ripeteva disperato mentre la moglie cercava di consolarlo.
    Alla fine tra un pianto e l'altro fu vinto dalla stanchezza e si addormentò profondamente. Nel sonno, sognò che gli angeli scendevano dal cielo con ago e filo si mettevano a riparare il vestito sbagliato in mezzo ai canti di gloria al Signore.
    Quando i primi raggi del sole svegliarono Omobono egli ricordò il sogno e pensò "Volesse il cielo che fosse vero!", e così fu, con sua grande meraviglia vide il vestito perfettamente cucito sul manichino e grido: - Miracolo! Moglie mia che miracolo! Il Signore altissimo ha trasformato quella frittata di vestito in un questo capolavoro! -
    Così il sarto consegnò il vestito in tempo e il signorotto soddisfatto gli pagò cinque ducati e gli regalò un pollo, una dozzina di uova e un paniere di ciliegie.
    La moglie vedendo tanto ben di Dio per festeggiare il miracolo della frittata del marito preparò una frittata di uova con la ...

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    Last Post by Xander Ares il 21 May 2021
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  4. La Zinzulosa
    Un tempo viveva il Barone di Castro, signorotto delle terre attorno al paese e famoso per il suo amore per i quattrini.

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    Un tempo viveva il Barone di Castro, signorotto delle terre attorno al paese e famoso per il suo amore per i quattrini, tanto che si sposò con una donna ricchissima per aumentare le sue ricchezze che ormai erano pari solo alla sua avarizia. Come se non bastasse la sua sete di denaro cresceva sempre più, giorno dopo giorno, facendolo divenire un uomo crudele e malvagio tanto che quando sua moglie dovette partorire non chiamò né medico, né levatrice per paura di spendere troppo.
    Per la sua cattiveria il Barone lasciò morire la moglie dei dolori del parto, ma nonostante questo nacque una bellissima e sanissima bambina. Il signore di Castro non si pentì dell'essersi macchiato della morte la moglie, e nonostante la grande quantità di denaro della quale era fornito, egli preferiva accumulare beni piuttosto che spendere qualche soldo per vestire la sua figliola, nella mente del Barone la bambina poteva vivere benissimo coperta di stracci, pur di ridurre le spese per il suo mantenimento tanto che sembrava che gli avessero appeso addosso degli stracchi piuttosto che vestirla e perciò tutti la chiamavano la Zinzulusa, cioè quella degli stracci appesi che si chiamano appunto zinzuli.
    L'avarizia del padre della piccola cresceva sempre, tanto da spingerlo a privarla dei giochi e perché spendere per garantirle una buona istruzione, quando si può vivere benissimo da ignoranti? Questa era la sua filosofia, ridurre al minimo le spese, anzi di più la sua figliola conduceva una vita misera e priva di ogni bene di prima necessità, la bimba però, non ebbe l'infanzia e l’adolescenza spensierata che il padre credeva, priva delle cure e dell'amore paterno e materno e il non aver mai avuto dei giochi, dei vestiti, dei libri o un pasto, la rendeva sempre più triste e cupa mentre cresceva.
    Quando si fece ormai grande il Barone iniziò a preoccuparsi che conoscesse un giovane e chiedesse la sua dote per sposarsi, la dote della figlia di un nobile non poteva essere fatta di stracci, avrebbe come minimo richiesto tutti i soldi lasciati da sua moglie in eredità. Così il crudele signorotto la rinchiuse in una remota stanza del suo palazzo, per farla morire di stenti e tenere tutta per se l’eredità della moglie. Le grida disperate di Zinzulusa un giorno furono interrotte da una colomba che entrò dalla finestra.
    - Oh Zinzulosa perché piangi? - Disse la colomba.
    - Piango perché mio padre mi ha chiusa qui a morire, e ora manda un demone a prendermi in giro? -
    - Non sono un demone piccola mia, sono la fata Colombina e ti aiuterò a fuggire qui. -
    Come disse ciò la colomba volò fuori per tornare al tramonto con uno stormo di colombe, una ad una i candidi uccelli presero i lembi degli stracci della Zinzulosa e la sollevarono in volo per farla uscire dalla finestra e posarla oltre alle mure del palazzo.
    I candidi uccelli volarono finché poterono, però le loro ali non erano forti abbastanza per portarla abbastanza lontano da essere al sicuro e la po...

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    Last Post by Xander Ares il 14 May 2021
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  5. Comare Formichella e altre storie
    Raccolta di storie orali nella tradizione del Salento

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    Fiabe e 'Cunti salentini
    Comare Formichella e altre storie
    di
    Xander Ares



    Dedicato alla memoria
    di mia nonna Pippi che
    da bambino raccontava a
    me i miei cugini la favola
    di Cumare Furmiculicchia



    La somma delli cunti


    - Comare Formichella
    Questa è una vecchia favola (quasi filastrocca) salentina che mia nonna mi raccontava da bambino, qui lo riadattata in lingua italiana.
    - I tre pesciolini
    C'era una volta una donna che voleva fare per cena del brodo con del pesce fresco, ma non aveva il pesce e così mandò suo figlio al mare per pescarlo.
    - La Zinzulosa
    Un tempo viveva il Barone di Castro, signorotto delle terre attorno al paese e famoso per il suo amore per i quattrini.
    - Il lupo nero
    C'erano una volta un re e una regina, nonostante essi avessero un regno bellissimo e prospero erano molto tristi perché non avevano figli.
    - I sette principi cardellini
    C’era una volta un regno in cui la regina era in attesa del suo primo figlio, il silenzio del castello fu rotto dal vagito non di un bimbo, ma otto.
    - Le due pecore di comare Volpe
    C'era una volta comare Volpe che se ne tornava a casa col carretto dopo aver rubato due belle pecore, di nome Cefalo e Palombo, che aveva legato dietro al mezzo.
    - Giannino e l'angelo
    C'era una volta un vecchio che si chiamava Giannino e credeva che quando la gente muore aveva bisogno di soldi per andare in paradiso.
    - Il flauto di sorbo
    C'era una volta un p...

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    Last Post by Xander Ares il 13 May 2021
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  6. I giorni della merla
    Non tutti sanno che i merli non sono stati sempre nero, un tempo ormai lontano le loro piume erano candide come il latte.

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    By Xander Ares il 29 Jan. 2021
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    Non tutti sanno che i merli non sono stati sempre neri, un tempo ormai lontano le loro piume erano candide come il latte.
    Un anno però arrivo un inverno molto rigido e la neve aveva steso il suo candido mantello su tutte le strade e i tetti della città.
    Una merla vanitosa vedendo che la neve era bianca come le sue piume le gonfiò orgogliosa credendo che quel candido manto era un omaggio alla sua bellezza.
    - Vieni al riparo - le dicevano gli altri uccelli - Fa tanto freddo e c'è tanta neve! -
    - Io non sento freddo, appena appena un'arietta frizzante. -
    Alla fine di gennaio però la merla capì che la neve non le era amica, il gelo che veniva con essa sembrava entrargli nelle ossa facendo tremare lei e i suoi piccoli, così per evitare i suoi merlottini morissero dal freddo, spostò il nido in un comignolo fumante da cui proveniva un po del tepore del fuoco accesso. Per tre giorni il freddo si abbatté dovunque più forte di prima, ma la merla e i suoi piccoli rimasero al calduccio. Col primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole che riuscì a ridare vita e speranza alla merla che uscì dal suo nido nel comignolo per scoprire che i tre giorni sul camino avevano prodotto una profonda trasformazione nel piumaggio, divenuto nero per la fuliggine, nero senza rimedio.
    - Le mie belle piume bianche sono sparite! - Piangeva la merla al pensiero del suo candido e bellissimo piumaggio ormai perduto, ma aveva scambiato la sua bellezza per la vita.
    Da allora in poi i merli nacquero tutti neri, mentre gli ultimi tre giorni di gennaio vennero conosciuti da tutti come i tre giorni della merla, i giorni più freddi di tutto l'anno.

    Edited by Xander Ares - 7/10/2021, 16:13
    Last Post by Xander Ares il 29 Jan. 2021
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  7. L'estate di San Martino
    La leggenda dietro i tre giorni dell'estate di San Martino.

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    By Xander Ares il 9 Nov. 2020
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    Era una fredda mattina di novembre. La nebbia avvolgeva la campagna e la terra era indurita dal gelo, il vento spazzava le strade così forte che penetrava nelle ossa dei viandanti.
    Un giovane cavaliere di nome Martino era stato assegnato con una missione che lo avrebbe fatto viaggiare per tre giorni. Avvicinandosi alle mura vide decine di poveri che chiedevano la carità e ogni volta che uno di loro si avvicinava gli donava una moneta pensando: - Ne più bisogno loro di me, quando arriverò a destinazione mi pagheranno perciò ne posso fare a meno. -
    Così Martino donò tutti i suoi soldi e quando li fini prese a dare ai poveri le provviste per il suo viaggio pensando: - Ne più bisogno loro di me, quando arriverò a destinazione mi daranno da mangiare, posso resistere tre giorni senza cibo. - E così senza soldi e cibo abbandonò la città.
    Il giovane guardò verso il cielo coperto mentre usciva da una delle porte della città - Fa molto freddo, nevicherà -, pensò avvolgendosi nel suo pesante mantello di lana di pecora.
    Cavalcando lungo la strada giunse a un incrocio, dove seduto per terra c'era un povero vecchietto mezzo nudo e tremante per il freddo, coperto soltanto di pochi stracci, che chiedeva l’elemosina.
    - Pietà di me, signore. Ho freddo e fame. -
    Martino avrebbe voluto aiutarlo, ma non aveva con sé né cibo né denaro. Allora ebbe un’idea: scese dal cavallo e con un colpo secco trasse la spada del fodero e tagliò in due il suo bel mantello.
    -Prendi la metà del mio mantello! Non ho altro da darti. -
    Il mendicante non sapeva come ringraziarlo; i suoi occhi erano pieni di lacrime di gratitudine.
    Martino, contento di avere l'uomo, sprona il cavallo e se ne va mentre un vento rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che incontrò un secondo mendicante, ancor più malvestito e infreddolito del primo. Il cavaliere lo guardò e sentì una stretta al cuore. - Poveretto, morirà per il gelo se nessuno lo aiuta. -, disse fra se.
    Nonostante avesse egli stesso freddo senza alcuna esitazione decise di regalare la seconda parte del mantello, rimanendo egli stesso senza una copertura sentendo il vento gelido su di se. Non fece però in tempo a risalire a cavallo che le nubi si diradano, il vento si calmò la nebbia si dissolse e apparve un fulgido sole autunnale; cominciò a riscaldare la terra.
    Il giovane cavaliere volse lo sguardo al cielo e vide nella luce Gesù avvolto nei due mezzi mantelli che aveva donato ai poveri.
    - Martino ti sei privato del tuo mantello per donarlo a chi aveva freddo, è come se l'avessi donato a me e perciò ora sarà la luce del creato a scaldare te. -
    Le parole di Gesù giunsero al cuore del giovane e per tre giorni fece caldo come fosse estate e così si ripetete l'anno dopo e tutti quelli avvenire, e quei tre giorni di novembre vengono ancora ricordati come l'Estate di San Martino.

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    Last Post by Xander Ares il 9 Nov. 2020
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  8. Gli stivali maledetti
    Ogni città ha una storia su qualcosa di maledetto, nella mia si narrava degli stivali maledetti dei Cooper...

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    Ogni città ha una storia su qualcosa di maledetto, nella mia si narrava degli stivali maledetti dei Cooper. Abraham Cooper era stato un soldato della Guerra Civile che riuscì a sopravvivere alle molte battaglia e tornare a casa con un souvenir, la pelle di un serpente gigantesco che sosteneva di aver ucciso a mani nude.
    Come potete immaginare da quella pelle si fece fare un bellissimo paio di stivali che erano il vanto, il primo giorno che Abraham gli indossò rientrò a casa tutto contento dei suoi nuovi stivali ma quello notte fu preso da violenti dolori di stomaco e impeti convulsivi di vomito, in poche poche ore morì senza che nessuno capisse il perché.
    Passato un mese Adam, il figlio maggiore di Cooper, indossò con orgoglio gli stivali del padre estinto per andare a messa la domenica, e li tenne sino a sera, ma all'atto di levarli, credette di sentire un piccolo prurito a una gamba. Passate alcune ore si sentì di terribili dolori, tutte le sue membra si irrigidirono, si sentiva perdere i sensi e venne colpito dalla morte prima che si potesse arrecargli alcun soccorso proprio come suo padre.
    Di lì a qualche tempo il secondogenito Caleb Cooper calzò gli stivali e anche lui la notte stessa muore come il padre e il fratello.
    Le tre morti incominciarono a creare una certa nomea agli stivali e la vedova di Caleb, temendo che portassero sfortuna, per liberarsene gli diede a un ex-schiavo chiamato Black George che prima della guerra lavorava in una fattoria vicina, in cambio degli stivali avrebbe lavorato nei loro campi fino al prossimo raccolto.

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    Last Post by Xander Ares il 29 Oct. 2020
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